Ho sempre pensato che essere un viaggiatore non significhi solo visitare il maggior numero di paesi, collezionare timbri su un passaporto, ma l’importante è il modo con il quale ci si approccia a nuove esperienze, a nuovi paesi e nuove culture.
Essere viaggiatori è, soprattutto, una questione di mentalità, uno stile di vita, significa essere mossi, da quella curiosità, da quel desiderio di scoperta e di conoscenza che ti spinge ad intraprendere, anche nella vita di tutti giorni, strade diverse, ad accettare nuove sfide, a metterti in gioco, abbandonando le sicurezze conquistate, senza rimanere ancorati alle vecchie abitudini.
Ed è proprio nel corso del nostro cammino che incrociamo altri viaggiatori che, come noi, affrontano la vita come il più grande viaggio, caratterizzato da difficoltà, momenti difficili, ma anche da emozioni uniche che regalano ricordi indelebili. Persone mosse da quella stessa curiosità che ci spinge sempre ad andare avanti, a vivere secondo i nostri ideali e a combattere per realizzare i propri sogni.
E così quando, in un modo del tutto inaspettato, incrocio seppure a distanza, viste le limitazioni del periodo che ci impediscono di viaggiare liberamente, il cammino di Ariel Lopez Padilla, un attore messicano, decido di farmi raccontare la sua storia.

Qui, in Italia, è un pomeriggio di fine gennaio di una giornata uggiosa, quando mi ritrovo a chiacchierare in videochiamata con Ariel, dalla sua casa in Messico.
Una maglietta scura, la barba appena accennata, un sorriso luminoso, uno sguardo intenso e un fascino indiscutibile.
Nonostante sia un artista completo: attore, ex ballerino, ma anche pittore, scultore e insegnante, Ariel mi colpisce, subito, per la sua semplicità disarmante e per l’umanità che traspare fin dai primi minuti. Credo che sia questo il segreto di una carriera lunga quarant’anni.


Nato a Guadalajara (nello stato di Jalisco – Messico), 58 anni fa, studia arti performative presso l’Università di Guadalajara, dove si distingue in diverse produzioni soprattutto di fumetti. Poi, si fa conoscere ed apprezzare come ballerino classico, entrando a far parte del corpo di ballo dall’Instituto Nacional de Bellas Artes (INBA) di Città del Messico.
La sua passione per la danza lo porta a seguire corsi e seminari in giro per il mondo, tra cui Cuba, Francia, Germania, Stati Uniti ed ex Unione delle Repubbliche Socialiste, arrivando ad esibirsi nei più prestigiosi teatri, tra i quali il Bolshoi di Mosca.
Si avvicina, quindi, alla recitazione, lavorando in molti spettacoli teatrali, tra cui, nel 1991, nel famoso musical “Cats” dove interpreta il personaggio di “Nefastulo” (meglio conosciuto come “Macavity”, nell’adattamento in spagnolo, infatti, i nomi dei personaggi, rispetto a quelli della versione originale inglese, furono modificati, per renderli più vicini agli spettatori messicani).
Successivamente, entra al Centro di Educazione Artistica (CEA) di Televisa, dove debutta come attore, con una piccola partecipazione, nella telenovela La Pícara Soñadora.
E’, però, il personaggio di Andres (Andrea) in Cuore Selvaggio (terzo adattamento, per la televisione, del romanzo della scrittrice messicana, Caridad Bravo Adams, diretto da Alberto Cortes e prodotto da Josè Rendon) che non solo lo fa conoscere in Italia, ma gli fa ottenere la fama internazionale.
Da allora, una lunga carriera caratterizzata da grandi successi, lavora, infatti, per le più importanti produzioni di telenovelas dell’America latina tra cui Televisa e TV Azteca (Messico), ma anche Telemundo (rete televisiva statunitense in lingua spagnola) e Venevision (Venezuela).
E’ una conversazione amichevole, quella con Ariel, che passa dai ricordi della sua infanzia, alle tappe più significative della sua carriera, fino alla sua visione della vita.
“Credo che la vita sia un viaggio da quando si nasce a quando si muore,” mi racconta, “e proprio come per ogni viaggio devi scegliere il mezzo di trasporto più adatto, che sia l’auto, la bicicletta, il treno o l’aereo; lo stesso devi fare in ogni tappa della tua vita, devi essere pronto ad affrontare il cambiamento, altrimenti rischi di rimanere fermo,” mi spiega, “devi andare sempre avanti. Per far ciò ci viene richiesto un’evoluzione non solo spirituale, economica, materiale e emotiva, ma soprattutto dobbiamo essere connessi con ciò che accade intorno a noi, solo così possiamo raggiungere i nostri sogni”.
Si sofferma, poi, a pensare come fino a “venti, trent’anni fa la televisione era l’unico modo per farsi conoscere, invece oggi, ci sono tanti mezzi sociali che ti permettono di essere protagonista, di avere un ruolo attivo, di diventare famoso, di ottenere un piccolo riconoscimento nel mondo”. Ariel ritiene che l’industria della televisione abbia creato, però, un’illusione collettiva secondo la quale chi è famoso non debba morire mai, ha molto denaro e potere.
Ed è proprio, in questo momento di pandemia, che gli artisti stanno vivendo una sorta di “crisi di astinenza”, perché non possono fare ciò che amano, non possono salire su di un palco.
Mi racconta, poi, che grazie al suo lavoro ha potuto viaggiare molto ed “incontrare persone molto molto ricche, persone molto molto povere, persone molto molto buone e persone molto molto cattive”.
Ed è proprio ripensando a loro che è arrivato alla conclusione che la sua vita è stato il migliore viaggio che avrebbe mai potuto intraprendere.

“Sono un uomo realizzato,” mi confida, “non ho nessun altro sogno, in tasca, da realizzare. Come ballerino classico,” mi spiega, “ho raggiunto i massimi livelli, riuscendo ad esibirmi al Bolshoi di Mosca. Come attore televisivo, ho potuto partecipare ad una delle più grandi telenovelas di tutti i tempi, Cuore Selvaggio. Mi sono fatto conoscere, anche, come artista plastico, dedicandomi per qualche anno alla pittura.”



Se ripensa alla sua vita e al suo lungo viaggio può affermare di essere un uomo soddisfatto “sono stato,” aggiunge, “il primo ballerino messicano a rappresentare il Messico al Sesto Concorso Internazionale di balletto di Mosca. Ho lasciato un segno nella storia e sono stato un esempio per i ballerini che sarebbero venuti dopo di me, anche per quelli che avrebbero ottenuto risultati migliori dei miei”.
“Il mio obiettivo non è mai stato Hollywood,” mi confessa, “perché significherebbe sacrificare del tempo da dedicare ai miei figli”. “Il mio obiettivo,” continua, “è quello di lavorare facendo ciò che amo di più, impegnandomi anche in cause ambientaliste e animaliste. Non sono interessato a vincere una statuetta agli Oscar, preferisco che i miei figli siano felici. Voglio essere una persona coerente, anche se so, che non è sempre facile, perché la tentazione del denaro e del potere è sempre forte”.
Se si guarda indietro, infatti, ha un solo rimpianto, non aver visto crescere sua figlia Maria, la sua primogenita; la vita, però, gli ha concesso una seconda possibilità ed oggi può vivere questa esperienza, del tutto nuova per lui, accanto ai suoi due figli più piccoli, Santiago di 8 anni e Julia, 5 anni.

Oggi, Ariel ha un solo desiderio raggiungere una prosperità materiale, ma “non per arricchirmi,” mi spiega, “non voglio far parte di un piccolo club di persone che hanno tutto,” quando, invece, tanti vivono in difficoltà. Vuole rimanere coerente con se stesso ed aiutare gli altri. Perché soprattutto “in questo periodo particolare della storia, caratterizzato dalla pandemia,” racconta, “ognuno di noi ha bisogno di trascendere se stesso”, andare oltre la propria identità, ma non nel senso di elevarsi al di sopra degli altri, non deve essere inteso come una sorta di autoesaltazione, ma, piuttosto, capire di essere solo una piccola parte di un mondo più grande.
“La vita è un viaggio affascinante, ma in questo momento,” mi spiega, “è come se ci trovassimo sul bordo di un precipizio perché l’umanità sta prendendo decisioni sbagliate. Stiamo assistendo a coppie che si separano, a famiglie in conflitto perché ci si sofferma solo su ciò che sta accadendo nel mondo e non sulla nostra interiorità.” Mi spiega che, però, possiamo trascendere noi stessi, quando abbandoniamo i nostri interessi personali e ci orientiamo verso gli altri, perché quando aiutiamo gli altri, entriamo in sintonia con noi stessi. La pandemia, che stiamo vivendo, può essere, quindi, vissuta come un momento per rivalutare noi stessi come essere umani; ci ha fatto capire, che quello di cui avevamo bisogno non era il numero di magliette o scarpe che possediamo, ma stare bene con se stessi.
“Voglio essere un buon papà, un buon fratello e un buon amico” afferma, “ritengo che trascendi te stesso, non appena i tuoi figli possono contare su di te, anche nelle piccole cose della quotidianità, ad esempio, prendendosi cura di loro, e queste azioni sono molto più importanti di qualsiasi premio o riconoscimento.”
“Ritengo” continua, “che l’educazione, la cultura, l’esempio” siano i valori più importanti da trasmettere ai figli”, ma non è sufficiente instillarli in loro, non porta a nulla, i bambini fanno ciò che vedono, ciò che conta è dare loro esempio con il proprio comportamento e stare al loro fianco, affinché siano sufficientemente consapevoli da plasmare i propri modelli di vita.
Pone, poi, l’accento su come abbia sempre messo l’arte e la tua sensibilità al servizio degli altri, per ispirarli e per far ciò ha intrapreso un percorso di esplorazione interiore che l’ha portato ad attivare tutti i canali di comunicazione più efficaci e funzionali che gli permettessero non solo di capire le persone, ma soprattutto di farsi capire.
Ariel afferma che nel fare ciò l’arte è fondamentale, perché “la musica, la lettura ed in generale ogni espressione artistica sono capaci di tirare fuori il meglio di te.” Ti permettono di compiere una trasformazione sociale positiva, la cultura, infatti, può cambiare la mentalità della società e crearne una migliore.
Conoscere l’arte di Leonardo da Vinci, Michelangelo, Henry Moore, è stato un bagaglio culturale che gli ha permesso di affrontare la vita, di viverla. A livello umano, l’ha aiutato non solo ad apprezzare le cose semplici, ma anche a superare gli abissi economici e sociali che ha incontrato. Non ha mai ricercato il lusso, non era interessato a cene a base di caviale e campagne, “a possedere una Lamborghini, una Porsche, dico sempre che se mi invitassero a delle feste dove si fa uso di droga, rifiuterei, perché le considero solo una perdita di tempo” che non ti porterebbe a sviluppare un maggior talento, ma solo a fallire. Afferma, infatti, che, in una grande quantità di persone, si sta assistendo ad un deterioramento fisico, mentale ed economico, situazioni in cui è facile perdersi.
Mi spiega che invece lui ha sempre cercato un equilibrio tra essere un artista e un uomo, rimanendo coerente a se stesso, senza sacrificare la famiglia per la carriera.

A differenza di tanti altri artisti, Ariel non ha mai nascosto le sue origini umili, anzi ne è profondamente orgoglioso.
Nato e cresciuto in un quartiere povero, il Barrio Bravo di Guadalajara (Messico), sostiene che è grazie alle sue origini se ha potuto apprezzare le cose positive della vita e il successo ottenuto, “senza mai perdere l’essenza di chi sono e da dove vengo”.


Per tutta la vita ha cercato di non lasciarsi distrarre dalle cose materiali, ha considerato la fama raggiunta non come un qualcosa per elevarsi al di sopra degli altri, trattandoli con un atteggiamento di superiorità, ma, piuttosto “come uno strumento per aiutare gli altri”.
Dalle sue parole traspare tutta la sua profonda modestia, dote rara ai nostri giorni.
“Ho sempre considerato la notorietà,” continua, “come una responsabilità che mi permette di far conoscere agli altri la cultura del mio paese (Messico n.d.r.) e la sua identità culturale”. Mi spiega di come sia stato sempre molto consapevole di quello che stava facendo, non solo per me stesso, ma anche per le persone che lo amano e lo seguono.
Ricorda, poi, come l’arte abbia sempre fatto parte della sua vita “credo di essere un predestinato, non avrei potuto fare altro, nella mia famiglia ci sono musicisti, scultori, pittori, una mia zia è attrice” ed è proprio l’arte che è stato il “mio strumento di vita per sopravvivere e vivere, per fare salti e giri”.

“E’ vero, non tutti hanno le capacità per raggiungere i massimi livelli in ambito artistico, ma ognuno di noi,” mi spiega Ariel, “ha qualcosa di artistico da poter condividere con gli altri, con la nostra famiglia, gli amici. Sebbene, in questi ultimi anni, la tecnologia ci abbia permesso di rimanere in contatto con le persone e superare, così, le distanze, dobbiamo imparare a riconnetterci con noi stessi e con gli altri, imparare a vivere insieme, condividendo del tempo, anche semplicemente trascorrendo un’ora in loro compagnia raccontando un libro che abbiamo letto”.
Mi spiega, inoltre, che possedere il talento non è sufficiente, devi avere anche il coraggio di realizzare i tuoi sogni.
Ariel è un uomo dalla forte determinazione “nella mia vita ho sempre avuto la forza di osare di andare avanti, anche quando ballavo al Bolshoi,” mi spiega, “sebbene mi fossi integrato e fossi realizzato perché mi trovavo nel posto migliore al mondo per affermarmi come ballerino, avevo capito che se fossi rimasto lì a lungo, so, che sarei stato infelice.”
Parlando viaggi, gli chiedo se dopo aver viaggiato tanto nella sua vita, c’è ancora qualche paese che gli piacerebbe visitare, ma che fino ad oggi non ha mai avuto occasione di vedere. Ariel, ammette sorridendo, “vorrei visitare il mondo intero, perché viaggiare ti arricchisce come uomo”.
Mi spiega, però, che ci sono, in particolare, due paesi nel mondo, che vorrebbe vedere: “uno è la Spagna, perché da lì vengono le mie origini e l’altro è Israele, perché tutta la mia vita è legata al mondo ebraico, mia figlia (Maria n.d.r.) ha sangue ebraico, ho molti amici ebrei e, poi, anche il mio nome è di origine ebraica, mi piacerebbe capire in che modo sono legato ad una cultura così distante da quella messicana”. “E poi,” aggiunge, “mi piacerebbe conoscere meglio la Russia” il paese al quale è particolarmente legato, vista la sua formazione artista di ballerino classico.
Riguardo, invece, ai suoi nuovi progetti Ariel, afferma che non sono legati al raggiungimento di traguardi personali, ma sono piuttosto orientati verso una “chiusura del cerchio”, il suo desiderio, per i prossimi 20 anni, è quello di poter condividere con gli altri ciò che ha imparato, nel corso della sua lunga carriera, ad oggi una delle sue più grandi soddisfazioni, “è sapere che stai facendo la cosa giusta”.
Mi racconta, poi, dei nuovi progetti ai quali sta lavorando tra cui Wahu (acronimo di We Are Humans) ovvero una piattaforma di streaming internazionale, specializzata nell’industria cinematografica, che ha collegamenti dagli Stati Uniti a tutta l’America Latina. “Un gruppo di ingegneri elettronici, di esperti di tecnologia,” mi spiega, “mi hanno invitato a collaborare con loro per sviluppare l’idea di questa piattaforma interattiva” che permette a creatori di contenuti artistici, a registi, di qualsiasi parte del mondo, di avere uno spazio, basato su principi quali il rispetto, l’equità e la giusta retribuzione del proprio lavoro, dove rendere visibili e condividere i propri lavori.
Nel frattempo, sta tenendo anche masterclass, seminari e workshop online all’università, perché sostiene che bisogna fare qualcosa per il Messico, che ha bisogno di un cambiamento a livello strutturale ed è attraverso la cultura e l’arte che le nuove generazioni possono imparare la storia e l’amore per il proprio paese e trovare delle soluzioni per migliorarlo.
Si è, anche, avvicinato, negli ultimi anni, al mondo della politica, collaborando con un partito politico; è felice di farlo, ma non per un tornaconto economico personale, ma perché può continuare a portare avanti i progetti che sta seguendo da dieci anni a questa parte. “Sono amato dalla gente, che mi appoggia e sostiene,” mi spiega, “perché parlo apertamente, per me, non è importante il nome del partito, ma se grazie ad esso posso portare avanti progetti a favore della comunità” soprattutto adesso che il Messico sta vivendo un aumento della criminalità e dei casi di violenza legati, anche ai cartelli della droga. Ariel ci tiene a precisare che nel far ciò non è, comunque, disposto a scendere a compromessi, e a farsi corrompere.
Sta lavorando, inoltre, con una ONG per un festival a Guadalajara, la sua città natale, poi, con un amico sta portando avanti una campagna a livello nazionale e terapeutica, che consiste nel registrare dei live, dove degli attori mettono in scena, supportati dalla consulenza di psicologi, una drammatizzazione di un caso clinico, di una storia, legato a un problema sociale, come un disturbo d’ansia, un caso di suicidio, di violenza domestica, con lo scopo di informare, creare consapevolezza nelle persone, sensibilizzarle sull’importanza della salute mentale ed emotiva e sulla loro prevenzione.
Inoltre, in questo modo, si aiutano anche gli attori, che stanno vivendo un periodo complicato, permettendo loro di recitare e di continuare a fare ciò che più amano.
Prima di salutarlo, un’ultima domanda, gli chiedo “Chi è oggi Ariel Lopez Padilla?” Qualche attimo di silenzio e, poi, senza esitazione, mi risponde “credo di essere la somma di tutte le mie esperienze e conoscenze. Sono una persona equilibrata, nella vita professionale ho avuto momenti difficili e anche quando ha raggiunto il successo non mi sono mai vantato, perché ho sempre tenuto a mente da dove venivo e dove ero nato”.
“A livello personale ho avuto dei fallimenti, mi sono separato,” mi spiega, “ho scelto di stare con compagne con le quali, però, ad un certo punto non andavamo più nella stessa direzione e, così, ci siamo lasciati (oggi è sposato con Paulina Mancilla n.d.r.). E’ stato molto doloroso, questo ha creato molti conflitti e molte sofferenze. Ho dei rimpianti, è vero, e sto cercando di superarli.”

Oggi, “sono un uomo, di quasi 59 anni, in equilibrio tra ciò che penso e ciò che faccio” anche se non è sempre stato facile. “Ho fatto tutto quello che mi ha permesso di essere in pace con me stesso, non ho mai fatto ciò che gli altri si aspettavano da me, ma solo quello che ritenevo giusto per me e per la mia carriera. Penso,” conclude Ariel, “che per far ciò, ci sia voluto non solo coraggio, ma tanta forza e molta chiarezza spirituale”.

Il tempo passa velocemente ed ora è arrivato, davvero, il momento di salutare Ariel, anche se è difficile smettere di chiacchierare con un uomo, come lui, dal grande spessore culturale, che sceglie con cura le parole e le riempie di significato.
Sono sicura, però, che il nostro è solo un arrivederci, non so dove, né come, né quando, magari ci ritroveremo, un giorno, a chiacchierare seduti al tavolino di un bar messicano oppure tra le strade di una città d’arte italiana, ma di una cosa sono certa, i nostri cammini si incroceranno nuovamente.
Ariel Lopez Padilla:
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